7/6/2010 - Giornata Mondiale degli Oceani: il WWF denuncia il fallimento delle politiche di gestione delle acque oceaniche e della pesca
In occasione della Giornata mondiale degli Oceani, mentre nel Golfo del Messico si sta consumando uno dei più pesanti disastri ambientali mai subiti dal “pianeta blu”, il WWF punta il dito su un altro flagello che sta impoverendo drasticamente gli ecosistemi oceanici. In tutto il mondo, infatti, i governi stanno fallendo nel gestire le acque oceaniche e regolamentarne la pesca, ormai eccessiva e distruttiva, e questo saccheggio dell’ultima grande “frontiera” ecosistemica del pianeta avrà serie conseguenze sulla disponibilità alimentare per la vita di milioni di persone.
Le aree di “alto mare”, ovvero quelle al di fuori delle giurisdizioni nazionali, occupano oltre i due terzi degli oceani mondiali e anche la loro ricchissima biodiversità, come quella delle acque nazionali, è fortemente minacciata. Circa il 65% degli stock di pesce di alto mare è sovrasfruttato; inoltre la pesca a strascico in acque oceaniche distrugge delle barriere coralline poco note, quelle di profondità, i cui fragili coralli d’acqua fredda e buia, ricoprono i cosidetti “sea mountains”, i monti sottomarini, alture sul fondo oceanico.
In molti casi, la pesca legale in alto mare non segue le indicazioni della comunità scientifica mentre i pescatori illegali saccheggiano impunemente, strappando al mare un bottino pari a 1,2 miliardi di dollari ogni anno. Oltre a questo, i sussidi dei Governi sono un flagello che incoraggia flotte di pescherecci sempre più grandi a inseguire pesci sempre meno numerosi, sostenendo una flotta globale “gonfiata”, almeno del 50-60% più grande di quanto dovrebbe essere.
“E’ giunta l’ora che le acque internazionali, d’alto mare ricevano una maggiore attenzione da parte di tutti i paesi, non solo quelli rivieraschi – ha detto Marco Costantini, responsabile Mare del WWF Italia – Come prima cosa, si deve contrastare la pesca illegale, grazie anche alla ratificazione dell’Agreement on Port State Measures. Poi ci si deve impegnare per impedire la circolazione di navi oceaniche “carretta”, alcune delle quali atte al trasporto del petrolio: la Exxon Valdez, petroliera che nel 1989 si infranse su uno scoglio dell’Alaska, circola ancora oggi dopo più di venti anni, e solo da pochi anni non trasporta più petrolio. È infine necessario, per quanto riguarda le attività estrattive, mettere in campo valutazioni di rischio che includano la previsione e la quantificazione dell’enorme danno ecologico, sociale ed ambientale in caso di disastri come quello attualmente in corso nel Golfo del Messico, che avrà conseguenze sugli ecosistemi marini e costieri per almeno 50 anni”.
Per il WWF il disastro della Lousiana ci ricorda ancora una volta di quanto sia urgente e necessario cercare di uscire rapidamente dalla dipendenza dai combustibili fossili, la cui combustione è la principale causa dei cambiamenti climatici. Oggi non ha senso investire per cercare nuovi giacimenti di petrolio, occorre investire per uscirne il prima possibile. 50 anni di ecosistemi compromessi e deteriorati valgono senz’altro una maggiore spinta verso le energie rinnovabili.
Risorse marine ben gestite sono vitali per il futuro di milioni di persone in tutto il mondo. Il “Green Economy Report” dell’UE, presentato a New York il mese scorso, stima che in tutto il mondo ci siano 35 milioni di pescatori su 20 milioni di imbarcazioni. Circa 170 milioni di posti di lavoro dipendono direttamente o indirettamente da questo settore, mentre la rete economica collegata alla pesca raggiunge le 520 milioni di persone. Nonostante l’immenso valore del nostro “pianeta blu”, meno dell’1% degli oceani del mondo è formalmente protetto, contro quasi il 14% delle terre emerse protette.
Il mare è in pericolo, lo salvi chi può.
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